domenica 18 ottobre 2009

Chat del sesso

Il consumatore abituale di sesso virtuale è, in genere, un uomo sposato di età compresa tra i 35 e i 55 anni ed eterosessuale.


Queste sono le considerazioni emerse nel seminario "Cybersex: forme attuali di dipendenza sessuale" organizzato dall’istituto di sessuologia clinica di Roma.


L’analisi ha evidenziato che sarebbe circa l’ 8% degli italiani a soffrire di unadipendenza da “cyber sex” e a trascorrere dalle 11 alle 32 ore alla settimana connessi alla rete alla ricerca di “emozioni” nella dimensione virtuale.



Si cerca sesso virtuale nelle chat, nei social network e nei blog. Lo si fa perché, magari, si teme un rifiuto dell’altro in una relazione off-line o perché si cercano “emozioni” che non comportino “implicazioni sentimentali”.



Solo il 33% di questi contatti virtuali, però, si trasformano anche in incontri nella “real life”.


Facebook

Prendete una giornata lavorativa media e sommate tutti i minuti che trascorrete “a zonzo” in Rete: su Facebook, ad esempio, ma anche sul vostro account di posta personale, sulla vostra chat del cuore e su tutti gli altri lidi del web che – diciamo così – non sono “strettamente legati” alla vostra attività. Se superate i 20 minuti complessivi sappiate che siete probabilmente fuori dai limiti tollerati dal vostro capo. Vi sembra eccessivo?

Facebook


Eppure, secondo una ricerca commissionata da Trend Micro all’istituto A&F Research, pare proprio che l’utilizzo libero di Internet sul posto di lavoro sia fra le voci più indigeste dalle aziende italiane, che lo considerano addirittura più controproducente delle pause durante gli orari di ufficio. Il 68% delle aziende italiane – si legge sul documento – non accetta di buon grado che i propri dipendenti trascorrano più di 20 minuti in Rete per scopi non professionali.


Lo studio, condotto su un campione di 150 imprese italiane, ci dice che sono soprattutto le aziende più piccole (da 10 a 50 dipendenti) le meno tolleranti: solo il 26,3% di esse, infatti, chiuderebbe un occhio oltre la fatidica soglia dei 20 minuti, contro il 44% delle aziende più grandi (da 51 a 250 dipendenti).


Ma quali sono le “aree” del web che finiscono nella lista nera? Al primo posto ci sono ovviamente i siti pornografici (56,2%), seguiti dai giochi (41,8%) e dalle scommesse (37,9). Va un po’ meglio a chi fa acquisti online (attualmente non consentiti dal 27,5%), a chi va alla ricerca di altri posti di lavoro (16,3%) o a chi fa uso del proprio account personale di posta (13,1 %),


E le chat e i social network? Finora le aziende si sono dimostrate tutto sommato “liberali” (attualmente sono vietati nel 28% dei casi), ma la tendenza per il futuro è uno stretto giro di vite, soprattutto nelle intenzioni delle imprese più piccole. Che, sottolinea la ricerca, potrebbero così seguire la strada già intrapresa dalle aziende più grandi, che già nel 42% dei casi vietano Facebook, Messenger e tutti i loro derivati.


Sembrerebbe dunque che le recenti ricerche sull’utilità di questi strumenti sul posto di lavoro non abbiano fatto grande presa sulle nostre aziende. Una cosa è certa. Gli utenti stanno cambiando il loro modo di condividere l’informazione, anche sul lavoro. Questione di comodità, o forse semplicemente segno dei tempi che cambiano. E le aziende, presto o tardi, dovranno trovare una soluzione. Che non sia quella del mero divieto.


venerdì 16 ottobre 2009

WORK IN PROGRESS

WORK in PROGRESS!!